Di Chris Bray
(un invito al dialogo)
“Ci sono sicuramente più cose che possiamo ottenere mettendo insieme le nostre risorse, di quanto possiamo ottenere restando separati.”
Introduzione
Il ministero della chiesa è sempre stato la cura pastorale, sia all’interno della comunità ecclesiastica[1] che al suo esterno. Per generazioni, la chiesa locale è stata in prima linea nel prendersi cura di coloro che avevano bisogno di aiuto, che fosse di tipo fisico, spirituale o psicologico. E’ facile guardare indietro all’Illuminismo ed avere la sensazione che la chiesa, accecata dai ragionamenti scientifici, abbia abdicato la sua responsabilità agli “specialisti”. Senza dubbio ci sono delle responsabilità da riconoscere, ma sospetto che il viaggio sia stato più lungo e complesso di come appare. Le persone che ricevono guarigione e comprensione dal counseling, hanno anche bisogno di una comunità di sostegno in cui crescere e maturare. La chiesa può essere questa comunità. Un servizio di counseling completamente separato, può spesso disconnettere le persone dalla chiesa. Si viene a formare un’associazione tra del buon counseling e un apparato para-ecclesiastico, invece di una buona connessione tra buon counseling e chiesa. Tutto questo suggerisce in modo velato l’impotenza e la ridondanza della chiesa. Credo che quando Gesù ha detto: “Io edificherò la mia chiesa”, intendesse renderla una comunità cristiana chiave, da cui si potessero dimostrare tutti i suoi doni (Efesini 3:10). La chiesa provvede una meravigliosa sinergia in cui diventiamo “più della somma delle nostre parti”. Non meno importante è il fatto che la, la nostra cura gli uni per gli altri, dovrebbe essere la migliore disponibili, come chiese che lavorano insieme.
La sfida di un network di chiese nel counseling
Unità
Chiese che servono insieme, condividendo risorse di counseling, promuovendo unità e guarigione. Chiese che offrono un servizio di counseling insieme, portando l’amore di Dio alla comunità. Questo è il mio sogno per l’area di New Forest. Sono convinto che un giorno diventerà realtà. Questa visione non si basa solo su un imperativo biblico, ma sembra anche avere molto senso. Mi sembra di sentirti dir che ci sono troppo problemi da risolvere, e che il tuo ministero sarebbe minacciato! Certamente – potresti obiettare – è più semplice fare tutto questo, restando separati dalla chiesa, vero? Tutto questo potrebbe essere vero, ma ci sono anche molti vantaggi e forse ci stiamo accontentando della seconda scelta? I problemi da superare vanno dalla confidenzialità, alle finanze, all’idoneità delle premesse, alla supervisione, alla sicurezza, etc. I benefici sono una comunità più sana, maggiore potenza, migliori abilità e comprensione, cooperazione, scambio di risorse, rispetto reciproco, etc. Un servizio di counseling può funzionare in una chiesa più grande, ma molte chiese in questo paese sono composte da 50/70 persone. Questo limita la possibilità che si instauri un servizio basato nella chiesa, a meno che le chiese non vedano tutto questo come qualcosa a cui poter lavorare insieme. Condividendo le risorse, potrebbero mettere insieme un abile counselor da ogni chiesa, rappresentando le premesse e i doni di ognuno. “Il corpo è un’unità, anche se composto da molte parti” (1 Corinzi 12:12). Il Corpo di Cristo, non è forse l’intera Chiesa, non solo la tua? Se accetti questo concetto, allora “la caviglia rotta della chiesa 1”, potrà essere curata dal “medico della chiesa 2”, altrimenti il corpo continuerà a zoppicare, cercando di guarirsi da solo. Non avrebbe senso trattare il nostro corpo fisico in questo modo, giusto? Allo stesso modo, conosciamo persone che soffrono emotivamente e non hanno nessuno a cui rivolgersi, mentre le risorse di counseling potrebbero benissimo trovarsi in un’altra chiesa. Ma, il “medico della chiesa 2”, è un counselor qualificato? Come possiamo fidarci? Ecco dove entra in gioco ACC, cercare di spargere la voce della nostra associazione di accreditamento professionale nel West Hampshire, a tutte le chiese di new Forest, è diventata una priorità. Raramente si conosce la nostra presenza. Credo che la forza di ACC in questo contesto, sia che si tratta di una organizzazione cristiana nazionale, che potrebbe essere vista come neutrale e diventare una “super colla spirituale” quando, a volte, le piccole differenze denominazionali, possono dividere e separare.
Le basi di questa “unità” (per le chiese), è che ci sono sicuramente più cose che possiamo ottenere mettendo insieme le nostre risorse, di quanto possiamo ottenere restando separati. La chiesa stessa potrebbe assumersi la responsabilità del counseling professionale insieme, al fianco, della sua tradizionale capacità di portare cura pastorale. Anche la relazione tra counseling a cura pastorale potrebbe essere creativa. La comprensione che deriva dal counseling potrebbe svilupparsi in programmi di discepolato, come “Get Real”.[2] Si possono formare gruppi educativi su argomenti come lo stress, l’immagine di sé, autoaffermazione e gestione della rabbia, gruppi che possono essere gestiti nella chiesa o nella comunità. Sembrerebbe imperativo per la chiesa, in senso lato, per lo meno prendere in considerazione l’unirsi. Forse esiste già qualcosa di simile, ma dove?
Sfide scritturali, etiche e pratiche
Un esempio delle sfide scritturali sulla chiamata all’unità e all’amore, è stata insegnata da Gesù nella sua “Preghiera Sacerdotale”, quando ha detto che dovremmo essere portati alla “completa unità” (Giovanni 17: 6-26). Dovremmo anche “portare i pesi gli uni degli altri” (Galati 6:2) e “fare del bene ad ogni persona, specialmente a coloro che fanno parte della famiglia dei credenti” (Galati 6:10). Queste sono forti motivazioni per l’unità nel counseling, non è vero?
E che dire delle sfide che possono sorgere dai dilemmi etici del fare counseling nella propria piccola chiesa, come i confini nelle relazioni di amicizia? (Vedi “Good Practice in Christian Counselling” par. 3.2.5).[3] Inoltre, i ministri che portano avanti il counseling nella propria chiesa, potrebbero avere dei conflitti etici, specialmente nel counseling con il sesso opposto. Ad esempio, nell’esperienza nord americana “il 37% dei pastori ha iniziato relazioni sessuali con membri della propria comunità e, per l’83% di questi pastori, le relazioni sessuali inappropriate, hanno avuto inizio nel contesto del counseling” (Articolo di Peter Janetzki’s in “The Christian Counsellor”).
Il dono del counseling dato da Dio, che risiede in un’altra chiesa, potrebbe essere la sfida pratica con questioni di accesso, sicurezza e idoneità che deve essere accettata e superata. Sicuramente preferibile all’affittare costose strutture, con la pressione di avere molti clienti, solo per andare in pari con le spese. I clienti non arrivano sempre con costanza, ma l‘affitto si! Ci sono anche grossi potenziali vantaggi dal ricevere counseling lontano dalla propria chiesa. Sentirsi al sicuro. Mi aprirò più facilmente su questioni che hanno a che fare con la leadership della mia chiesa, ad esempio, con le quali non sono in accordo. La confidenzialità suona meglio. Non ho l’impressione che il mio counselor sia “nella manica” del pastore!
Possibili resistenze
Ci sono delle resistenze indesiderabili con cui pastori o gruppi di pastori possono combattere quando vengono menzionate le parole “counseling cristiano”. E’ possibile che sia una questione di rimozione di potere? Forse il sistema etico di una particolare chiesa, potrebbe essere la ragione per cui questo approccio è fuori questione. Mano a mano che si crea fiducia, vedo barlumi di saggezza ed umiltà giocare una parte sempre più grande in questo dibattito. Forse questo è dovuto in parte al fatto che, ad esempio, la percentuale di divorzi nelle chiese è alta quasi quanto lo è fuori. Serve qualcosa di nuovo dal deposito della grazia di Dio. Siamo onesti, non si tratta di una competizione tra laici e ministri, ma è un progetto condiviso, una nuova visione come peso condiviso tra di noi, prendendoci cura delle persone che si trovano tra noi.
[1] “Counseling and community” by Rod Wilson
[2] “Get Real” – walking in the light towards true relationship by Roselyn Abbott
[3] ACC’s “Ethics and Practice”, August 2003
Tratto da: Accord, Magazine of the ACC UK
Tradotto da Roberta Rapezzi