Di Pauline Andrew
Riesco ancora a vedere la furia negli occhi di mio padre mentre mi guardava dalla strada. Io lo guardavo dalla finestra della mia camera; in quel momento sembrava che mi odiasse. Chiuse sbattendo la portiera e avviò la macchina con rabbia, sgommando mentre partiva. La voce ansiosa di mia madre mi arrivò da dietro. “Dì che ti dispiace. Per favore, dì solo che ti dispiace”.
Non sapevamo mai quando sarebbe tornato. Si, gli avrei detto che mi dispiaceva, anche se mi faceva stare male, perché no ero io ad essere nel torto. Schiacciate e sottomesse dal desiderio di pace, abbiamo giocato a “Non fare arrabbiare tuo padre” per tutta la mia infanzia e adolescenza e ne sono uscita portandomi dietro un costante livello di ansia.
Improvvisamente pericolosa
Non sapevamo mai che cosa avrebbe fatto eruttare la prossima eruzione di rabbia. Se alzavo leggermente la voce parlando con lui, le ripercussioni erano terribili. E’ morto da 25 anni ormai e io lo comprendo di più e ho più compassione per tutto ciò che si portava dietro. Avremmo avuto una relazione migliore se fosse vissuto di più? Onestamente, non lo so.
Gli effetti di uno scoppio di rabbia da parte di chi si dovrebbe prendere cura di un bambino, sono stati descritti come “uno strappo brutale nel tessuto” che ci lega insieme (Kaufman, 1992). Strappa via la nostra sicurezza e il nostro benessere: la persona dalla quale dipendiamo per vivere, è improvvisamente diventata pericolosa. La nostra amigdala risponde con paura, l’adrenalina scorre, ma siamo troppo piccoli per combattere, non possiamo scappare e, quindi, restiamo congelati.
Nel tempo, se questo continua ad accadere, ci sottomettiamo all’impotenza e collassiamo.
Rabbia ed abbandono
Nel momento in cui veniamo attaccati dalla rabbia, credo che sperimentiamo un primordiale senso di abbandono. La connessione è spezzata e ci sentiamo completamente soli, e spesso, segue una profonda vergogna.
Phil Molem (2002) dice:
“Nella terribile e impotente assenza, quando il legame umano fallisce, e nella desolazione vuota, ma piena di rabbia dell’abuso – in quei buchi e spazi vuoti, si annida la vergogna. La vergogna è dove falliamo. E il fallimento più fondamentale è il non riuscire a connettersi con altri esseri umani.”
Comportamento adattivo
Brené Brown (2010) parla in modo convincente di come la disconnessione sia fortemente legata alla vergogna. La mancanza di un attaccamento sicuro nell’infanzia produce, tragicamente presto nello sviluppo emotivo, un “falso sé” (Winnicott, 1965). Disperatamente bisognosi di sentirci al sicuri e di appartenere, adattiamo il nostro comportamento perché diventi accettabile a chi si prende cura di noi. Mano a mano che cresciamo, la vulnerabilità che viene dal “mostrarci” per chi siamo veramente, può continuare ad apparire molto rischiosa.
Brown cita un bambino di 12 anni che aveva già capito: “Se posso essere me stesso, appartengo. Se devo essere come te, mi adeguo…” Abbiamo un profondo desiderio di appartenenza… ma spesso ci accontentiamo di adeguarci. Possiamo pagare a caro prezzo il connetterci ad altri ad ogni costo. Parte di ciò che perdiamo è l’energia della nostra vera rabbia e il suo potere cruciale di comprendere dove siamo stati feriti.
Ricordo una volta in cui l’ira di mio padre si riversò su di me quando i miei compagni di scuola erano venuti per prendere il the. Ero mortificata. Non volevo che fosse mio padre. Volevo che se ne andasse e non tornasse mai più – preferibilmente che morisse. Non c’era un modo sicuro di esprimere la mia abbia verso di lui, non c’era la possibilità di una discussione razionale riguardo ai nostri sentimenti reciproci. Non ho più un ricordo dell’accaduto; ma provo ancora quelle sensazioni. Il senso di disconnessione era completo.
Pentola a pressione
Non sapevo che cosa fare con la mia rabbia, che si stava inasprendo appena sotto la superficie, avevo paura che uscisse perché temevo le ripercussioni. Come una pentola a pressione lasciata sul fuoco, era pronta ad esplodere. Crescendo, trovai il modo di prendermela con quelle persone che “non contavano”. Come qualcuno che mi serviva male in un negozio o al ristorante. Sapevo essere fredda e tagliente – come posso ancora esserlo oggi al telefono con i televenditori. Con le persone invisibili.
Non mi sognerei mai di parlare in quel modo con qualcuno che sto guardando in faccia. Come potrei essere così sprezzate e rabbiosa con loro? Per essere del tutto onesta con me stessa, sono molto più gentile di come ero una volta. Ma se arriva la quinta telefonata del giorno… Si, conosco il servizio che ti toglie da quelle liste, ma trovano sempre il mezzo di aggirarlo! Ho certamente imparato il potere della disconnessione quando succede qualcosa del genere!
Rabbia e vergogna
Janina Fisher, nel suo discorso “Vergogna e disprezzo di sé”, al quale ho preso parte a Londra nel settembre del 2014, ha dato una prospettiva interessante sulla vergogna.
“In un ambiente in cui lotta e fuga non sono sicure, la vergogna permette al bambino di diventare accondiscendente ‘visto e non sentito’ e preoccupato di evitare di ‘essere cattivo’.”
Lo stesso linguaggio non verbale della vergogna, la testa abbassata, la postura ingobbita, suggerisce sottomissione e questo potrebbe evitare ulteriori punizioni o traumi.
Vengo riportata alla supplica di mia madre: “Dì solo che ti dispiace…” Senza dubbio era un meccanismo studiato per fermare il flusso della abbia di mio padre e per riportare la pace. Continuare a combattere significava dolore e stress per tutti noi. Così, abbassavo metaforicamente la testa e facevo le cose giuste: ma dentro di me ero tutto tranne dispiaciuta. Ribollivo.
Evitare i sentimenti
E’ interessante come Kaufman sostenga come l rabbia possa anche essere utilizzata per evitare i sentimenti dolorosi. “La rabbia ha una funzione auto-protettiva, isolando il sé da ulteriori esposizioni e tenendo gli altri lontani, così da evitare altre occasioni di vergogna”. Certamente la rabbia di mio padre mi teneva lontana da qualsiasi relazione con lui.
Ho sentito stori di punizioni fisiche e messe in ridicolo che ha sperimentato nella sua infanzia… La sua rabbia gli ha dato il potere di impedire che accadesse di nuovo? Eppure… come si sentiva la notte, quando ripensava alle espressioni sui nostri volti? Non ha mai saputo dire che gli dispiaceva: ma mi piace pensare che si sentisse dispiaciuto.
Reazioni durature
Il tempo, la guarigione e il perdono mi hanno dato con lui la migliore relazione che io abbia mai avuto. Mi dispiace che sia potuto accadere solo dopo la sua mote.
Ho chiesto ad un gruppo di counselor se, come me, avessero sperimentato la vergogna da bambini e se fossero arrabbiati o meno per questo.
Andrea mi ha detto: “Mia nonna era quella che mi faceva vergognare di più. Mi aveva portato all’ospedale a trovare mia madre e il mio fratellino. Mi sono messa a piangere quando i hanno detto che dovevo andare via, mi sono aggrappata a mia madre, implorandola di lasciarmi restare. Mia nonna era così arrabbiata con me che mi trascinò via e non mi lasciò più tornare. Avevo fatto una tale scenata. Si, adesso mi arrabbio quando mi anno vergognare, o quando vedo altri in questa situazione. Ma resta dentro, ed è come un’infezione…”
Rilasciare la rabbia
Sandra disse: “Avevamo tutti così paura di essere messi in imbarazzo a scuola. Arrossivo quando qualcun altro faceva qualcosa di sbagliato. Avevamo un sacco di test per prepararci all’esame finale. Posso ancora sentire il suono del righello quando sbagliavi e riesco ancora a vedere il segno rosso sul retro delle gambe delle ragazze. Mi chiedevo “Cosa sarebbe successo se non avessi saputo la risposta giusta?” Avrei potuto essere io!”
Quando lavoro con dei clienti che hanno bisogno di rilasciare la rabbia, spesso sono frenati da un senso primordiale di essere “cattivi” o dalla paura di essere puniti in qualche modo.
Abbiamo diversi modi creativi per aiutare le persone a trovare i propri sentimenti di rabbia, la verbalizzarli può sempre essere difficile.
Disconnessione da sé
Penny ricorda d essere stata mandata a vivere con la famiglia di una compagna di scuola, quando sua madre ebbe un esaurimento nervoso. Penny fu vittima di bullismo in quella famiglia, ma non c’era nessuno a cui potesse raccontarlo. Aveva perso la voce e, quando provò ad esprimere la sua rabbia da adulta, in terapia, ridivenne la silenziosa ragazzina di dieci anni.
Quando neghiamo, somatizziamo, seppelliamo o indirizziamo la nostra rabbia sulle persone sbagliate, il risultato può essere una profonda disconnessione da noi stessi. Il senso di vergogna che ne deriva, la sensazione di avere sbagliato, confermano che dare attenzione a questa spaventosa energia è pericoloso.
Rabbia e paura
Da bambina sono stata cresciuta nella Chiesa dei Fratelli di Plymouth, dove mi è stato presentato, molto presto, un Dio arrabbiato ed esigente. Ovviamente mi fu anche detto che era amorevole, ma il io compito era quello di servirlo ed essere obbediente. Altrimenti…
Fin dal principio, per me la fede era collegata alla vergogna. Non mi ci voleva molto pe sentirmi condannata come una cristiana inutile. Poi leggevo nella Bibbia che “non c’è alcuna condanna” (Romani 8:1) per coloro che appartengono a Gesù. Paura: forse non appartengo a Gesù? Vergogna: ho ancora dato ascolto al diavolo e non ho letto abbastanza la Bibbia. Un bel pacchettino nevrotico. Quindi il pensiero di essere arrabbiata con Dio non mi apparteneva. Mi ci sono voluti più di cinquant’anni per poter trovare una piena espressione di rabbia con Lui.
Energia trasformata
La chiesa media presta poca attenzione all’essere arrabbiati, se non per dire alla congregazione di non esserlo. Come counselor abbiamo continuamente a che fare con clienti arrabbiati, che siano consapevoli di questa emozione oppure no. La grande mancanza di consapevolezza in molte persone depresse, le porterà a negare la presenza di qualsiasi forma di rabbia: ma di solito non l’hanno semplicemente identificata e hanno trasformato questa energia in profonda tristezza. La via di entrata dà indicazioni sulla via d’uscita: trovare ed esprimere la propria rabbia in sicurezza, sarà una delle strade verso la guarigione.
Come cristiani, crediamo a Gesù quando ci dice che la verità ci renderà liberi (Giovanni 8:32). Affrontare la verità che, forse, siamo molto arrabbiati, può sembrare un passo eccessivo, non solo per i clienti, ma anche per alcuni counselor. Se non so affrontare la mia rabbia, significa che non posso gestire i sentimenti di rabbia del mio cliente?
Sarebbe vergognoso…
Bibliografia
Brown, B. (2010) http://www.ted.com/talks/brene_brown_on_vunerability
Kaufman, G. (1992) “Shame: The Power of Caring”. Schenkman Books
Mollem, P. (2002) Shame and Jealousy: The Hidden Turmoils, Karnac Books
Winnicott, D. W. (1965) “Ego distortion in terms of true and false self”, in The Maturational Process and the Facilitating Environment: Studies in the Theory of Emotional Development. New York: International UP Inc
Tratto da: Accord, Magazine of the ACC UK
Tradotto da Roberta Rapezzi